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Cosa vuol dire fare del self publishing consapevole

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Due dei miei romanzi brevi indie (“self”, se preferite)

Oh, no, l’ennesimo articolo sul self publishing! Che palle!

Non so se dirò le solite cose anche questa volta, ma ho sentito l’esigenza di scrivere un post sul self publishing, perciò eccomi qua.
Perché? Perché negli ultimi mesi ho un paio di amici (di quelli veri, che conoscono anche in carne e ossa) che vogliono pubblicare il loro romanzo inedito rimasto nel cassetto da 10 o più anni, ma che hanno riletto e completato durante la pandemia. Sì, potete considerarlo uno dei danni collaterali del Covid 😀
Battute a parte, resta il fatto che questi amici vogliono pubblicare i loro romanzi. Ci credono tantissimo, sono certi di aver scritto qualcosa di bello e di sicuro interesse per i lettori. Magari è davvero così: io non li ho letti, anche perché sono storie molto lontane dalle mie abituali “frequentazioni”.
Però me ne hanno parlato e me ne parlano tutt’ora, ogni volta che ci vediamo. Perché? Perché sanno che io sono uno scrittore “self” (io preferisco definirmi indipendente, ma vabbè) che ha avuto un qualche successo. Vale a dire che vendo, che ho uno zoccolo duro di lettori, che non passo inosservato come il 95% dei self che ogni giorno piazzano i loro ebook su Amazon. Il che non vuol dire che sono un autore di successo, ma riesco a dare un senso, anche economico, a questa attività. Non vado in perdita e non mi sembra di buttare il tempo. Non sempre, perlomeno.
Quindi la richiesta dei miei amici è: “insegnami a vendere come fai tu!
Che è un po’ come il giovane della tribù che si rivolge al vecchio sciamano: “svelami il segreto della tua magia!

Solo che io non faccio né trucchi né magie.
Cerco di spiegarlo ogni volta che si finisce a parlare di scrittura.
Innanzitutto: essere un autore “self” non deve essere un ripiego né una scorciatoia. Deve essere una scelta consapevole.
Io sono un autore self per scelta (e – tra l’altro – non sono unicamente un self, visto che ogni tanto i miei racconti compaiono su riviste di settore e antologie). Sono un indipendente perché mi piace avere il pieno controllo dei miei progetti, perché guadagno di più – scusate la brutalità – e perché gestisco i tempi di pubblicazione senza aspettare il placet di terze persone.
Altro che ripiego.

“Ok, a me va bene. Spiegami come si fa.”

E qui viene la parte difficile.
Essere un autore indie vendibile comporta due presupposti:

  1. Avere dei collaboratori PAGATI (minimo un editor e un grafico)
  2. Aver coltivato un pubblico nel corso dei mesi o degli anni.

Sul punto 1 non credo ci sia molto da aggiungere. Nessuno ce la fa da solo. L’idea che uno scrittore self sia davvero solo è erronea. Io, per esempio, scelgo i collaboratori, li pago, così come pago la pubblicità, la promozione e tutto il resto.
Invece uno dei miei due amici ritiene addirittura “immorale” pagare per “lavorare su qualcosa di artistico”. Eh, ciao bello! Se parti così non arriverai mai a nulla. Anzi, non partire proprio. Il concetto mi pare così semplice (anche se evidentemente non lo è) che non mi soffermo più di tanto a spiegarlo. Il lavoro altrui va pagato, anche se tu non lo percepisci come lavoro. Non c’è altro da aggiungere.

Il punto 2 è più complesso.
Lo spiego attraverso l’esperienza personale. Io sono diventato un autore dopo aver gestito per anni dei blog di divulgazione del fantastico. Al blog sono seguiti una pagina Telegram, un canale YouTube e un Podcast. Ho prodotto tonnellate di materiale – articoli, video, audio – totalmente gratuito, ad accesso libero. Anche i miei nemici mi riconoscono il fatto di aver cercato di contribuire allo sdoganamento del fantastico, in Italia.
Aver fatto questo mi ha permesso di costruire un pubblico. Parte di queste persone sono diventate anche miei lettori, ovvero gente che paga per comprare ciò che pubblico.
Questo processo ha necessitato anni. ANNI. Ed è ancora in corso, sempre.
Non ho barato, non ho usato trucchi, non mi sono iscritto “all’accademia del self publishing.”
Mi sono sudato ogni singolo lettore e continuo a farlo.

Lo ripeto: non ho trucchi da mostrare, né scorciatoie.
Io cerco di spiegare questo concetto a chiunque mi dice “fammi diventare un bravo autore self!
La risposta è quasi sempre la stessa: “Ma io non ho voglia di sbattermi, voglio solo pubblicare e vendere! Sono sicuro che è una cosa molto più facile di come la racconti.”
Quindi non si va da nessuna parte.
Per me scrivere e pubblicare è un lavoro. Lo sono anche tutte le attività connesse alla scrittura: blogging, podcasting e via discorrendo. Se non si capisce questo, inutile iniziare. Poi so che i miei amici lo faranno lo stesso. Si rivolgeranno a qualche sedicente social media manager che prometterà loro mari e monti.
E va bene così. Magari qualcuno ha davvero dei trucchi magici da vendere, a differenza mia.

Solo che… sapete cosa succede? Questo genere di considerazioni che mi vengono fatte sono avvilenti. Mi fanno capire, tra le righe, che tali amici pensano che quel briciolo di autorevolezza che ho non sia dovuta al lavoro, alla programmazione, a puntuali investimenti, bensì alla fortuna, a qualche espediente furbetto o a un mix delle due cose. A volte sono davvero stanco.


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